giovedì 7 aprile 2011

Inedito senza titolo, aprile 2011

Quel pensiero aveva iniziato a frullargli nella testa da un po’ di tempo. Solo un pensiero, per di più sperso in un cervello saturo di miliardi d’altri pensieri, affastellati l’uno sull’altro a creare ulteriore marasma in un’esistenza già di per sé incasinata al cubo.

Era un pensiero che, le prime volte, s’era manifestato con una sorta di timidezza, quasi sapesse che il suo destino era di farsi scacciare con decisione, magari con una punta di scherno, finanche di disprezzo. Così infatti era accaduto. Troppe e troppo valide le ragioni per respingere un’idea tanto assurda. Nondimeno, accidenti a lui, quel pensiero non mollava, iniziando a farsi largo tra la pletora di suoi consimili che in cialtronesco disordine schizzavano nella sua mente alla stregua di palline di un flipper impazzito. In sostanza, quel pensiero gli suggeriva di riprovarci.

Impertinente, il pensiero prendeva coraggio e tornava alla carica, costringendolo infine, se non ad assecondarlo, quantomeno a riconsiderare tutta la situazione. Era obbligato ad ammettere di fronte a se stesso, cosa che fino a poco tempo prima nemmeno sotto tortura avrebbe fatto, di starci effettivamente rimuginando su. Quel pensiero poteva essere alimentato da un suo desiderio inconscio, o da una molla fatta scattare da qualcuno o qualcosa, o da chissà quale altro fattore. Intanto era lì ed era impossibile ignorarlo.

Non era stata una vita facile, né particolarmente gravida di soddisfazioni. Per molti anni, l’unica vera ancora di salvezza era stata rappresentata da ciò con cui adesso sbandierava di non voler avere più nulla a che spartire. Almeno in un’occasione, gli aveva letteralmente salvato il culo. Altrove, aveva riempito spaventevoli vuoti che lo avrebbero inesorabilmente inghiottito.

Tra alti e bassi, non erano mancate l’intensità e la voglia di spingersi sempre oltre, in nome di un sogno che, per quanto avvolto di visioni forse poco credibili, presentava continui, benché talora flebili, appigli alla realtà, che gli consentivano d’inseguire la famigerata luce intravista, o magari soltanto indovinata, in fondo al tunnel.

Poi, come in tutte le cose belle, erano giunti i titoli di coda. In sordina, una dissolvenza aveva portato via anni di lotte, sacrifici, dolori strazianti ma anche lampi di vibrante emozione, che avevano dipinto di vividi colori paesaggi altrimenti destinati ad avvizzire nel grigiore.

Non era stato un distacco brusco ma progressivo, sicché si era convinto che era giusto che fosse andata a finire così. Non doveva covare alcun rimpianto. Aveva dato il meglio di sé e, ne era fermamente convinto, aveva ottenuto risultati eccelsi, quantunque in pochi, là fuori nel mondo, fossero disposti a dargliene credito.

Senza dubbio, si sentiva svuotato e demotivato da quella che alla fine della fiera si era rivelata poco più di una lotta contro i mulini a vento. Inoltre, la paura di non essere in grado di far meglio di quanto già fatto lo persuadeva a rinchiudersi nel suo guscio, evitando di esporsi oltremodo agli sguardi altrui.
A far da contraltare, la sprezzante sicurezza di non avere più nulla da dimostrare a nessuno. Il suo lascito era lì, imponente e denso di significato, a disposizione di chiunque, che bisogno c’era di allungare il brodo?

Eppure, quel pensiero si ripresentava con sempre maggior pervicacia. Come la quiete di una domenica mattina in un appartamento sconquassato da un martello pneumatico azionato a tradimento al piano di sopra, reclama immediate contromisure d’emergenza (in primis la soppressione fisica della persona che ha scatenato l’inferno sulla terra), così era necessario affrontare la faccenda e legiferare in merito.

Il pragmatismo, pur inserito di straforo in un’anima votata al disordine emotivo ed esistenziale, non gli aveva mai fatto difetto. Addivenne perciò a porsi alcune domande.

Cosa sarebbe successo se c’avesse riprovato? Dentro di lui, innanzi tutto, bruciava ancora il fuoco di un tempo, oppure sopravviveva una scintilla che avrebbe potuto ravvivarsi al momento opportuno, o sotto la cenere non c’era rimasto un bell’accidente di nulla? Risposta: finché non avesse seriamente deciso di rimettersi in carreggiata, non lo avrebbe scoperto.

E ancora: se avesse deciso di riprovarci, donde sarebbe ripartito? In teoria era semplice: rinnovarsi da capo a piedi e, soprattutto, migliorarsi. Non ripetersi e risultare più interessante di quanto non fosse mai stato, nemmeno nei suoi momenti più alti, che a lungo aveva considerato irripetibili. Non esitare a trattare le sensazioni e gli argomenti più disparati. Divertimento, angoscia, orrore, tenerezza, disperazione. Un’unghia che penetra nella carne, un abbraccio avvolgente, un grido che squarcia la notte, un bacio sulle labbra, un cognacchino sparato a tutta forza nel muscolo quadricipite della coscia. Descrivere se stesso e il suo mondo attraverso gli altri. Più o meno ciò che aveva sempre fatto. La sfida più ostica: far sì che il futuro non fosse una sbiadita copia dell’illustre passato, ma un passo avanti lungo un sentiero che, nel corso degli anni, lo aveva visto crescere e maturare, attingendo dalle precedenti esperienze per raggiungere nuovi traguardi, senza arroccarsi su certezze già acquisite.

Infine: quand’anche c’avesse riprovato, e ci fosse riuscito, cos’avrebbe fatto dopo? A cosa gli sarebbe giovato rituffarsi nel vecchio vortice, che ad onta dei superlativi risultati finali, tante energie psicofisiche gli portava via senza che tangibili riscontri lo ripagassero in alcun modo? Ecco, a questi ultimi interrogativi non aveva ancora trovato risposte convincenti.

Però, diamine, era riuscito a far fronte a due obiezioni su tre! Qualche margine di manovra forse c’era per davvero! Giusto per far chetare quel petulante pensiero e, in caso tutt’altro che improbabile di fallimento, spazzarlo via definitivamente sull’onda dell’irrealizzabilità del progetto.

Certo, restavano trilioni di dubbi e timori (anzi, terrori!), il che era peraltro parte integrante della sua personalità, dunque non c’era da meravigliarsene. Non sarebbe stato semplice tornare a guardarsi dentro senza la tentazione di fuggire via terrorizzato da ciò che avrebbe visto. Ricordava bene come funzionavano certi meccanismi. Non s’era affatto dimenticato gli antichi tormenti, a cui sarebbe di nuovo andato incontro.

Non era per nulla sicuro di volerci riprovare. Però la porta sbarrata adesso mostrava un piccolo spiraglio.

Non era per nulla sicuro che avrebbe potuto riuscirci. Però quel piccolo spiraglio significava che, se c’era anche una sola possibilità che decidesse di riprovarci, c’era pure il rischio che potesse riuscirci!

Per il momento non aveva voglia di fare piani a lungo termine. Il passato era sempre lì, appollaiato sulla sua spalla, a mostrargli un ghigno poco amichevole, impossibile da eliminare anche prendendo tutte le distanze da ciò che era stato un tempo. Però dal passato poteva tentare di ripartire per (ri)costruire il futuro.

Forse, un giorno o l’altro, c’avrebbe riprovato.