martedì 12 ottobre 2021

“Scritti post vitam” 1996 – 2021 (testo inedito)

Nell’autunno del 1996 portavo a compimento il mio esordio “Scritti post vitam”, scombiccherata accozzaglia di prose e poesie (!), le une e le altre abbondantemente malriuscite. Questi miei primi tentativi sono rimasti provvidenzialmente inediti, fatte salve alcune poesie (ahi ahi ahi!).

A distanza di venticinque anni, pubblico un testo scritto all’uopo in questi giorni che si rifà all’invito alla lettura con cui inauguravo il lavoro.

Mi pare un buon modo per chiudere il cerchio su un’esperienza nata con l’ambizione di svelare al mondo il più grande scrittore vivente, sull’onda di una passione travolgente e di tanti sogni di gloria (tutti miseramente infranti), con la consapevolezza dell’imponente lascito artistico creato lungo un percorso di costante miglioramento e maturazione grazie a un’indomabile volontà di mettersi sempre in discussione.

Se ci sarà, alla prossima!

 


Scrivo per te, Lettore (“lettore” è un termine onnicomprensivo che abbraccia generi e numeri; ergo non sperate di vedermi usare quei cazzo di asterischi). È così oggi come venticinque anni fa, agli albori della mia carriera di scrittore, allorquando ero fermamente convinto che avrei lasciato un segno nella storia della letteratura e mi accingevo a redigere un preambolo introduttivo, cosa che sto facendo anche in questo frangente.

Se mi guardo indietro, ai miei inizi e a tutto ciò che è venuto dopo, noto un sacco di cambiamenti come pure vari motivi ricorrenti.

Quello sfrontato senso di sfida che impregnava (anche troppo!) i miei primi passi, non è mai venuto meno. Chiaro, è presente in forme assai diverse e talvolta divergenti, ma se mi hai seguito in questi anni, dovresti riuscire a scorgerlo senza eccessiva difficoltà.

Ancora adesso, ad esempio, posso raccontarti di una visione onirica che mi ha spinto a redigere un tributo al mio passato remoto. Non più il decrepito ed evanescente vegliardo apparsomi venticinque anni fa, bensì un robusto ragazzone quasi maggiorenne che prende vita dalle poche foto scattatemi in quel periodo.

Costui mi irride, dice che se non ne sono stato in grado ai tempi d’oro (in sogno non obietto, ma razionalmente non ho la più pallida idea di quali siano questi “tempi d’oro” cui fa riferimento), figuriamoci oggidì. È cinico e sprezzante, forse per mascherare la sua insicurezza e il sentore cataclismatico di fallimento incipiente. Io sto ad ascoltarlo, intontito ma abbastanza pacificato rispetto alla proiezione.

“Non hai scampo”, mi preconizza. “Ti attendono venticinque anni di sofferenze e sciagure, e non sarà mica finita lì. Ma questa è un’altra storia. Restiamo sul pezzo. Puoi ancora rimediare. E hai tre opportunità a tua disposizione.”

“O sposto una chiesa, o vo in Perù, o vinco al Totocalcio?”, provo a fregarlo io, recuperando un minimo di compostezza e disincanto pur nella goffaggine di chi sta sognando.

“Non fare il furbino”, mi ammonisce con la mia stessa voce, tuttavia declinata in una sorta di lugubre cantilena.

Purtroppo al risveglio ricordo molte meno cose rispetto a quand’ero più giovane, e anche stavolta è tutto piuttosto confuso e non ho colto le tre opzioni che mi venivano offerte per emanciparmi dallo sfacelo.

Ho pertanto deciso di buttar giù a braccio la presente introduzione, che è al contempo una chiusa finale. Niente colpi di scena a effetto, solo una sfumata dissolvenza che va ad abbuiare quel che rimane. Nel mezzo, dalla primordiale apparizione a queste ultime parole, c’è la mia storia, dipanata in romanzi e racconti che, mai mi stancherò di ripeterlo, ho scritto per te.

mercoledì 24 febbraio 2021

“Rambo apocalisse” – Il mio nuovo romanzo!


Se nel 2020 ho raggiunto il traguardo dei venticinque anni di carriera, nel 2021, cioè adesso, sono pronto a darvi in pasto il mio venticinquesimo romanzo!

Rambo apocalisse” è da oggi liberamente scaricabile sul sito ufficiale del più grande scrittore vivente http://www.ljuboungherelli.it con licenza Creative Commons.

Terzo romanzo di frattura, è forse quello meglio delineato, benché ricoperto dall’usuale patina nebulosa e stratificato mediante svariati livelli di lettura. Storia, fantascienza e attualità convivono all’interno degli scenari narrativi, in primis una palestra dove un esasperato culto della personalità e della violenza è paradigma del degrado sociale e culturale e insieme base fondante per lo sviluppo delle vicende. Le quali prenderanno una piega forse in prima battuta incomprensibile, ma più si va avanti, più l’intreccio si dipana, svelando le oscure connessioni tra i personaggi, le loro storie e la Storia, quella con la maiuscola.

Di prassi, non mi soffermerò sugli aspetti puramente tecnici dell’opera. Ormai ben sapete cosa aspettarvi: perfezione formale e un approccio stilistico che si spinge sempre un passo oltre a ciò che ho prodotto in precedenza. Aspettatevi dunque conferme e al tempo stesso sorprese! C’è piuttosto un altro tema che vorrei trattare in questa sede.

Qualche tempo fa, un noto scrittore cintura nera di karate (sic) ha dichiarato che la disciplina di sua competenza è bella e nobile, mentre le arti marziali miste andrebbero vietate in quanto istigherebbero i suoi praticanti a una cattiva condotta. Da appassionato di MMA, provo enorme fastidio al cospetto dei moralisti che strumentalizzano fatti di cronaca per gettare fango su uno spettacolo di elevatissimo livello sportivo, in cui vige supremo il rispetto per l’avversario… altro che brutalità allo stato brado. Ricordo analoghe sciocchezze esternate ai danni di videogiochi e musica (altre due mie passioni, una ormai sfiorita, l’altra sempre ardente); più in generale, la longa manus del politicamente corretto cerca di inficiare il mondo dell’arte: sedicenti giudici, autonominatisi dall’alto di non si sa bene quale autorità, pretendono di dettare regole riguardo a cosa si può e soprattutto non si può dire e a come bisogna dirlo. Ebbene, sono felice di affermare che “Rambo apocalisse”, con le sue feroci esplosioni di violenza che ammicca a episodi tra i più nefasti della Storia di cui sopra, è un romanzo profondamente diseducativo, se così vogliamo vederlo. Per me è ben altro, ma se i dettami dell’appiattimento obbligato lo bolleranno a tale stregua, ben venga. La riterrò una medaglia al merito! Buona lettura!

 

martedì 8 settembre 2020

“Quelli della ‘Stella Rossa’” – In free download il romanzo sulla Resistenza di Sirio Ungherelli “Gianni”!

 

In questo 2020 pregno di gioia e spensieratezza, ecco una bella notizia! Da oggi torna finalmente disponibile online, nella formula dello scaricamento libero dal mio sito ufficiale http://www.ljuboungherelli.it, “Quelli della ‘Stella Rossa’”, il romanzo autobiografico del mio omonimo Sirio Ungherelli “Gianni”, pubblicato in origine nel 1999 nella tradizionale edizione cartacea.

Affresco avvincente e realistico della Resistenza fiorentina, narrato da chi ne fu uno dei protagonisti, “Quelli della ‘Stella Rossa’” è efficace tanto sul piano storico quanto su quello narrativo, una lettura voluminosa ma scorrevole dall’inizio alla fine.

Nell’evocativa data dell’8 settembre, che peraltro è anche quella che nel 1923 vide la nascita dell’autore, ho deciso di ridare un po’ di meritata visibilità a un’opera che non era più reperibile. Nel 2005, infatti, mi occupai di curare la ristampa digitale del tomo su richiesta dei vertici locali dell’ANPI. “Quelli della ‘Stella Rossa’” fu dunque ripubblicato, già allora in free download, sul sito Resistenza Toscana, unitamente a una mia breve nota introduttiva. Di recente mi è stato fatto notare (grazie 18k!) che sul sito in questione i link non erano più attivi, sicché ho optato per una cosiddetta “soluzione interna”, dando ospitalità al romanzo sul mio sito: per scaricare liberamente vi basterà cliccare sull’icona della stella rossa in basso a destra nella barra dei collegamenti oppure anche qui.

La versione di “Quelli della ‘Stella Rossa’” testé presentata è invero la medesima del 2005, con alcuni problemi nella formattazione che si sostanziano in un’incongruenza tra la numerazione segnata nell’indice e l’effettiva impaginazione. Questo a causa di incompatibilità tra il documento originale che consegnai all’epoca e il programma usato in seguito per la conversione in .pdf.

Purtroppo credo d’aver perso il file originale nella rottura di un hard disk esterno una decina d’anni fa e non sono perciò stato nelle condizioni di approntare una revisione “definitiva”. Se in qualche modo dovessi risolvere la questione, provvederò senz’altro a un aggiornamento.

In ogni caso, ciò che trovate sul mio sito è infinitamente più accurato di quanto stampato in origine nel 1999. All’epoca, fui malamente estromesso dal progetto e addirittura accusato di volerlo sabotare. Il risultato del mio mancato coinvolgimento fu una sovrabbondanza di refusi, per fortuna rimossi quando ebbi modo d’intervenire per l’edizione digitale di cui sopra. Chiudo qui senza indulgere ulteriormente nella polemica, che pure ho evitato per metà della mia esistenza ed era l’ora di levarsi qualche sassolino dalle scarpe.

Invito infine tutti voi alla lettura e a tenere viva la memoria della Resistenza!

lunedì 10 agosto 2020

2000 – 2020: vent’anni di “Luoghi non comuni”! (testo inedito)

Il 10 agosto 2000, dopo averci discontinuamente lavorato per buona parte dell’anno, portavo a compimento “Luoghi non comuni”, sgangherato pamphlet che col pretesto di dieci interviste inventate a personaggi della storia e della cultura popolare cercava di esplicare la mia visione del mondo. Gli esiti, purtroppo, furono tutt’altro che brillanti, seppure molti spunti mi siano tornati utili per caratterizzare il mio stile letterario. Ad ogni modo, “Luoghi non comuni” è uno dei due lavori che non ho mai voluto ristampare ed è un bene per la mia credibilità artistica. E per fortuna che all’epoca finii per non accettare il contratto di pubblicazione propostomi da una lugubre casa editrice aretina… 

Tuttavia, a vent’anni di distanza, voglio ricordare quel traguardo comunque significativo. Lo faccio di seguito, con una versione “alternativa”, scritta in questi giorni, dell’intervista che chiudeva il tomo: una smaccatamente autoreferenziale conversazione tra me e me stesso! Prima di lasciarvi alla lettura, chiudo con l’avvertimento che ero uso dispensare all’epoca: non prendetevi troppo sul serio!

 

Lj.U.: La prima domanda che mi sovviene è: non la sfiora il pensiero di risultare ridicolo? Ok a ventuno anni, ancora ancora, l’esuberanza giovanile e cazzate varie… ma adesso?

Lj.U.: Argomentazione pertinente, non lo nego. Cosa posso dirle? Giusto per aggiungere un altro carico alla questione, le rispondo autocitandomi: non ho nient’altro da dimostrare, ma soprattutto più nulla da perdere. E se era il mio spirito già nel 2000, si figuri adesso, che le cose sono andate in una certa maniera.

 

Lj.U.: Ecco una buona imbeccata! Ogni tanto persino lei ne azzecca una. Iniziamo a parlare di come sono andate le cose. C’eravamo lasciati nell’estate 2000 con bellicose dichiarazioni d’intenti. Ci vuole raccontare cos’è successo poi?

Lj.U.: Le piace rigirare il dito nella piaga, eh?

 

Lj.U.: Abbiamo di meglio da fare?

Lj.U.: Io personalmente no.

 

Lj.U.: Allora basta cincischiare! Si parte!

Lj.U.: Evviva… Potrei riassumere la questione e liquidarla agilmente alla stregua di un’inenarrabile sequela di fallimenti. Artisticamente parlando, s’intende. Per il resto, peggio ancora. Ma cerchiamo di non scadere nel patetico e concentriamoci sulla prodigiosa impennata coincisa con l’ingresso nel nuovo millennio. Tra giugno e novembre 2001 gettavo le basi per il genere letterario che sarebbe passato alla storia col nome di “periferia esistenziale”, espressione da me coniata con parecchi anni d’anticipo rispetto a quando il pontefice attualmente vigente ha ben pensato di appropriarsene in maniera indebita. I pasticci scarabocchiati fino solo all’anno precedente erano un pallido ricordo. A ventidue anni ero padrone assoluto di una prosa sfavillante, sontuosa, dalle mille sfumature e sfaccettature. In poche parole, il più grande scrittore vivente era ufficialmente sulla piazza. In quei diciotto mesi, con scadenza dicembre 2002, fui dominato da un furore creativo che, mai avuto problemi ad ammetterlo, non sono più stato in grado di eguagliare. Ahimè, alle prodezze letterarie non si accompagnavano quelle promozionali. Non avevo idea di come muovermi e le poche porte cui bussavo non si aprivano. Fu così che la mia indole notoriamente poco pugnace m’indusse a gettare la spugna.

 

Lj.U.: Che vicenda toccante, mentre la ascoltavo mi stavo commuovendo.

Lj.U.: Vuole un fazzoletto?

 

Lj.U.: La ringrazio, non si disturbi, farò poi da me in separata sede. Torniamo alla cronistoria dello psicodramma. I capolavori della periferia esistenziale consegnati ai posteri nel disinteresse più totale. Il più grande scrittore vivente, a quel punto appena ventiquattrenne, cosa decide di fare nel 2003?

Lj.U.: Di andare da uno psichiatra! Questa storia l’ho raccontata in lungo e in largo, inserendola pure, debitamente rimaneggiata, in un mio romanzo. Il dottore mi disse d’aver “ereditato” un paziente il quale era uso presentarsi in aeroporto vestito da pilota e pretendere di mettersi alla guida pur non avendo alcuna competenza in materia, e a lui, come al suo predecessore che aveva avuto in cura l’aspirante aviatore, spettava il compito di soffocare le velleità del tapino e ricondurlo a più miti consigli. Il sottinteso dell’aneddoto era che i miei sogni di gloria di scrittore dovevano essere affossati senza pietà. Un po’ più magnanimo del medico che nel 1998 voleva farmi rinchiudere in una casa famiglia, ma pur sempre improntato alla repressione delle mie “malsane” ambizioni artistiche. Il lato positivo della faccenda, da strenuo teorico del bicchiere mezzo pieno quale sono, fu che rimanemmo d’accordo che lo avrei pagato a partire dalla visita successiva.

 

Lj.U.: Bicchiere mezzo pieno, portafogli tutto pieno. Felicitazioni! Bye bye psichiatra, come ha gestito in autonomia l’accavallarsi dei problemi mentali che da sempre la affliggono?

Lj.U.: Ovviamente malissimo! Il 2003 è stato uno degli anni peggiori della mia vita. Ho cercato di rimettermi a scrivere, ma non ero in grado di produrre alcunché di degno. E provavo e riprovavo e mi avvitavo in una spirale che mi ha condotto in uno stato atroce, tanto da farmi prendere in seria considerazione l’idea di farla finita. L’incipit di “Dall’altro verso il baratro” mostra il protagonista in procinto di suicidarsi. Ai primi di gennaio 2004 cominciai a stare un po’ meglio, il che mi permise di ritrovare l’armonia necessaria a scrivere e completare a metà febbraio un nuovo romanzo. Il romanzo del “ritorno alla vita”.

 

Lj.U.: Bene, parliamo un po’ di questo ritorno, del ritorno alla scrittura intendo; sul ritorno alla vita mi pare abbia già detto tutto. Se qualcuno avesse letto le opere del biennio 2001–2002, avrebbe stentato ad attribuire all’autore di “Dall’altro verso il baratro” la paternità della “periferia esistenziale”.

Lj.U.: La transizione da “periferia esistenziale” a “Scream of consciousness”, il corso letterario che avrei perorato nel lustro successivo, mi pareva obbligatoria. Ambivo a vaste platee e chissà perché mi ero convinto che fosse il mio stile troppo ampolloso a precludermele. Si figuri i salti di gioia quando i primi addetti ai lavori cui presentai “Dall’altro verso il baratro” e “Posta da filmare”, romanzo che nell’ottobre 2004 rappresentò il vero punto di svolta nel mio approccio alla parola scritta, mi contestarono la presunta povertà del linguaggio, rifilandomi bocciature senz’appello.

 

Lj.U.: Un vero e proprio complotto ai suoi danni. Lei sembra il protagonista del classico cartone giapponese al quale va tutto male, ma disgrazie anche pese, sfighe assortite e quant’altro. La differenza è che lì arriva il lieto fine, cosa che per lei non è nemmeno più un miraggio. È un enorme NO sui titoli di coda.

Lj.U.: Lei fa spoiler, cazzo! Ora quei pochi che ancora non avevano abbandonato la lettura dell’intervista seguiranno le grandi masse sul sentiero dell’indifferenza. Eppure sa una cosa? Io all’epoca non avevo dubbi. Ero strasicuro che ce l’avrei fatta. Che i miei talenti sarebbero stati riconosciuti alla faccia di questi coglioni incompetenti e di tutti coloro che mi avevano sottovalutato. Perciò, quando nell’estate 2005 un’importante agenzia letteraria si prese in carico a titolo gratuito la promozione di “Posta da filmare” presso gli editori, al di là dell’ovvia euforia non ero granché sconvolto. Era semplicemente così che doveva andare. Finalmente sollevato dal non dover più tribolare nella routine di invii di mail e dattiloscritti, esborsi e pretestuose schede di valutazione, pronto a entrare nel mondo editoriale dall’ingresso principale, mi sono rimesso a scrivere con rinnovato ardore e un’indefessa voglia di migliorarmi, al ritmo di due romanzi l’anno. Insomma ero sulla cresta dell’onda!

 

Lj.U.: Certo, come no. Lei può gigioneggiare quanto vuole, tanto ormai s’è capito che la tragedia è a un tiro di schioppo. Lo vogliamo saltare quest’ennesimo, pietoso capitolo della sua triste storia? Lo dico per lei eh, che sta mostrando il peggio di sé; per fortuna c’è un pubblico assai esiguo pronto a riderle dietro.

Lj.U.: In ogni caso non c’è molto da dire. Io stesso non sono riuscito a farmi un’idea precisa. Fatto sta che a gennaio 2007 l’agenzia mi ha silurato. Tutto da rifare, per dirla con Ginettaccio. Io invece, dopo aver imperversato per un anno e mezzo in un trionfalismo sempre più tracotante, per la prima volta ho avuto dei dubbi. Presto divenuti certezze. Che mi ero illuso. Che non ce l’avrei fatta. A ventotto anni ancora da compiere, ho alzato bandiera bianca. Poco importa che nel 2009 sia stato pubblicato un libro a mio nome. È stato uno sbaglio, non è colpa di nessuno fuorché mia. Di certo la mia mollezza caratteriale non mi ha aiutato a trovarmi un posto nel mondo. A trent’anni, ero un disadattato sociale. Lo ero anche prima, ma almeno mi aggrappavo a quell’unica convinzione: che presto o tardi qualcuno si sarebbe accorto del più grande scrittore vivente. E avevo perso pure quell’ultimo appiglio.

 

Lj.U.: Evvai, un po’ di sana autocommiserazione a buon mercato ci voleva proprio! Adesso però passiamo oltre. Le interviste del 2000 appaiono avvincenti e frizzanti in raffronto a questo strazio. Un po’ di dignità, suvvia.

Lj.U.: Temo che lei non abbia tutti i torti.

 

Lj.U.: Poco ma sicuro. Non serve Sherlock Holmes per capirlo. Siamo grossomodo a metà strada e abbiamo accumulato tanto malessere da far pigliar male una iena ridens. Se riusciremo ad arrivare in fondo, avremo versato abbastanza lacrime da risolvere almeno un paio di mesi di siccità.

Lj.U.: Ce la faremo ad arrivare in fondo, non si preoccupi.

 

Lj.U.: E chi si preoccupa? Dopotutto, affrontiamo situazioni ricorrenti, ripetitive, pare di vivere in continuazione il giorno della marmotta. Basta fare copia e incolla dalle prime risposte e cambiare giusto qualche parola.

Lj.U.: Invece, a cavallo tra anni Zero e Dieci, vi sono state delle pur lievi variazioni sul tema. Quasi stessi davvero dando retta allo psichiatra del 2003, provai a vivere. Ebbi una relazione piuttosto impegnativa e diventai il frontman di un gruppo rock. Esperienza che ha portato allo sviluppo di una “carriera” parallela che prosegue tuttora e, ironia della sorte, nella musica, dove le mie capacità sono pressoché inesistenti, mi sono tolto molte più soddisfazioni che nella letteratura, dove non ho mai fatto nulla che fosse meno che eccelso ma i riscontri non sono mai giunti. Ricapitolando, tra 2008 e 2012 il mondo ha fatto a meno del più grande scrittore vivente…

 

Lj.U.: Come peraltro ne aveva fatto a meno fino al 2008 e dopo il 2012…

Lj.U.: Vero. Però io ero attivo e sfornavo capolavori in rapida sequenza, mentre per quasi un quadriennio è stato il silenzio a farla da padrone. Ed era proprio un rigetto per la scrittura più che mancanza d’ispirazione. Anche solo rispondere a un messaggio di posta elettronica mi costava un’immensa fatica. Poi, pian piano, mi sono ritrovato, riprendendomi il posto che mi compete, a dispetto di una consacrazione che non è mai arrivata e mai arriverà. Dal 2011 tutto ciò che scrivo viene pubblicato sul mio sito ufficiale, unitamente alle ristampe dei lavori precedenti. Periferia esistenziale, Scream of consciousness, caleidoscopio dell’assurdo, romanzi di frattura… Non credo esistano tanti scrittori capaci di rinnovarsi così di frequente, sempre con risultati formidabili.

 

Lj.U.: Risultati che la stragrande maggioranza dello scibile umano ignora bellamente.

Lj.U.: Anche lei però è discretamente ripetitivo, se lo lasci dire.

 

Lj.U.: Dopotutto sono la sua controparte, cos’altro si aspettava? Ma proviamo a lanciare uno sguardo oltre l’orizzonte, sul passato ci siamo abbrutiti a sufficienza. Ha in serbo qualcosa per cambiare rotta e far sì che il futuro sia migliore rispetto a quanto ci ha raccontato sinora?

Lj.U.: In serbo, ma soprattutto in croato, non ho un bel cazzo di nulla. Ho dedicato gli anni migliori della mia vita alla letteratura. Nessuno mi ha costretto a farlo. È stata una mia scelta. Un impulso fortissimo, trascinante, il desiderio insopprimibile di esprimermi nell’unico modo che conoscevo, per comunicare all’esterno quello che sentivo, in una forma artistica s’intende, non uno sterile sfogo da diari delle medie. Resto convinto d’aver costruito qualcosa che vale la pena di condividere con altre persone, che questo effettivamente succeda o no. E finché continuerà a valerne la pena, non smetterò di scrivere romanzi, testi di canzoni e quant’altro. L’ho sempre fatto pensando che “dall’altra parte” vi fosse qualcuno disposto ad ascoltare il mio grido. Non è mai stato un ghiribizzo fine a sé stesso. Ho senz’altro perso l’entusiasmo, il fervore e parte della spinta creativa che avevo in gioventù. Mi restano la maturità e la facilità di scrittura che non hanno eguali tra i bipedi che calpestano il suolo terrestre. Per chi vorrà, io sono qui. In caso contrario, nessun problema, ormai sono a posto così.

 

Lj.U.: Questi mi paiono propositi decisamente più realistici di quelli inusitati che blaterava nel 2000 e dintorni. Qualunque minus habens sarebbe in grado di perseguirli, persino lei.

Lj.U.: Infatti li perseguirò. Questa è la mia vita, d’altronde. Non dispongo delle energie necessarie per fare molto altro. Senza andare troppo a scavare nei meandri della mia testa, mi sono rassegnato a questa sorta di condanna. Mi sono reso conto molto presto che qualcosa si era rotto. Erano solo le prime avvisaglie, e chiaramente all’epoca, a dieci, dodici anni d’età, non ero in grado di definirle con esattezza. Campanelli d’allarme che hanno preso a suonare con sempre maggior clangore, fino a divenire assordanti promemoria di tutto ciò che era sbagliato in me. Combattere contro il “male oscuro” è un’impresa di per sé improba, a maggior ragione per soggetti deboli e fragili quali il sottoscritto. Per certi aspetti mi considero addirittura fortunato a essere vivo a quarantuno anni. Certo, ci sono arrivato trascinandomi appresso una miriade di scompensi direttamente o indirettamente derivati dalla malattia mentale. Il senso di colpa e di vergogna si nutre di tutto ciò, eppure a lei piacerebbe concludere in modo meno opprimente…

 

Lj.U.: Ma per carità! Abbiamo indulto nel piagnisteo senza requie, che senso avrebbe abborracciare un finale fintamente accomodante?

Lj.U.: Allora rimaniamo nel pantano! Dove peraltro sguazzo dai suddetti quarantuno anni, tirando su di tanto in tanto, ma sempre più di rado, la testa per respirare aria un po’ meno torbida, per poi riprendere ad annaspare. Fintantoché non sarò eccessivamente boccheggiante, avrete sporadiche notizie di me, tramite quei sinceri e appassionati atti d’amore che vi dono sottoforma di capolavori letterari. Sono convenienti anche perché vi presentano la mia parte più nobile, tralasciando tutto il marcio che contorna l’uomo che si cela dietro l’autore. Potrete vantarvi di conoscere il più grande scrittore vivente, magari dimenticandovi le nequizie lette in questa conversazione. Io sono riconoscente a chiunque mi abbia dedicato anche soltanto un briciolo d’attenzione. Come dicevo poc’anzi, è per questo che ne vale ancora la pena. Nel congedarmi, so che lei intende rivolgere un’ultima, accorata richiesta a coloro che si fossero spinti fin qui. Le lascio volentieri la chiusa!

Lj.U.: Per favore, non chiamateci perfetti idioti.